Tra le pagine segrete del libro della Storia

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03.02.04
Gazzetta del Sud
Tra le pagine segrete del libro della Storia – Giuseppe Amoroso

Roma è tiepida nella sonnolenza. Un raggio di sole si infrange contro il vetro di un’automobile. Aldo Moro viaggia nei suoi pensieri: l’università, la famiglia, il Governo che deve presentarsi al voto delle Camere. Improvviso, un urto. Il corpo dello statista sbatte in avanti contro il sedile; il parabrezza va in frantumi, come una “ragnatela secca, senza suono” avulsa dal fragore intorno. Una raffica: l’autista e il collega uccisi. Come in un sogno, guanti afferrano il Presidente, ma non sono quelli dell'”angelo custode”. Nel gran buio una portiera si chiude.
Concitata, irta di parole aguzze, avvitate su frasi secche e taglienti, la narrazione di «Amici e nemici» di Giampaolo Spinato è tutta un fremito di scaglie fibrillanti angoscia, scolpite su un fondo che, minaccioso, riversa voci concitate, in assoluto accordo con il tono rovente e imperioso. Siamo nel marzo del 1978. Si parte dal sequestro di via Fani. Un martellare di ricordi e di progetti, l’organizzazione del gruppo, la scelta di un linguaggio non burocratico, il voler andare direttamente nel cuore dello Stato: da questo rovello scuro viene il personaggio che fa parte del commando dei brigatisti. Si chiama Sebastiano, agisce con il nome Leto e va verso l’agguato “in un baleno, in un attimo di eterna, interminabile durata”.
Qualcuno spara. Nella caduta per Leto si spalanca il “cerchio del cielo”. Ferito, si trascina lungo il marciapiede, chiamato come in un altrove dal dolore. Un uomo -l”‘angelico” – lo raccoglie: ha gli occhi del nemico, il ricercato neofascista che lo fa prigioniero. Dall’enorme diffusione del fatto pubblico e dalla “superba prova di cinica distanza che si fa presto a trasformare in Alto Senso dello Stato”, il racconto si dirama nei tanti rivoli del privato, manovrando con sicurezza i registri del linguaggio politico, schermato ed eloquente, pesato con il “bilancino”, percorso nella “rassegnazione travestita”, nel “necrologio anticipato”, nella retorica dei discorsi ufficiali, e quello disinibito e avventuroso, e a suo modo analogamente sclerotizzato, delle assemblee dei giovani contestatori.
C’è chi, come Telonius, ha bisogno di pensare di non ripetere le cose che vengono dette, di andar via dalle parole standardizzate, per trovare una dimensione di maggiore consapevolezza. Con Irene, “capa” delle femministe, scopre l’amore, andando verso “quel contatto autentico, l’unico vero, a lungo sospirato, atteso”. E ci sono i ragazzi che si radunano, si confrontano, ascoltano non contenti di come i grandi raccontano il mondo. Pronti a militare in fazioni opposte, ad abbandonarsi a richiami del sesso, a ingrossare i cortei, marea scomposta, corteggiata dalla “vita che non pensa, non si ferma, ma prosegue, anche se sfiorata dalla morte”. Giovani tutti uguali, senza nome, dentro un rimbombo, un sogno. Dentro un oceano di teste, di bandiere: sono “braccia, mani, una parete”. Un’enorme protesta contro il vuoto che inghiotte Telonius, Irene, gli occhi che si specchiano sui vetri.
Chiuso in una “capsula di tempo smisurato”, il Presidente, diviso dalla realtà da una lontananza incommensurabile, è circondato da silenzi oscillanti. Da fuori gli giungono tracce labili, odori di prato. Si sgranano i giorni, il flusso dei pensieri appare anestetizzato. I carcerieri incalzano con le loro domande, celebrano “un processo” in nome di una giustizia priva di ogni diritto. E intanto lo sgomento sale in frasi ipnotiche, tra qualche speranza e “cadute verticali”. L’atmosfera allucinata della prigione rende tutto innaturale. E si fa chiara la certezza che la sentenza è stata già pronunciata. Scrive Moro: e la dignità si disfa nelle parole, nella scrittura. E’ uno scatenamento di lettere, messaggi, speranze e dolore e “ruvidi richiami”.
Spinato usa il bisturi e seziona brandelli di pena, rende fisici i silenzi, raccoglie il “fiotto caldo” che sgorga dalla carne. Sono pagine, queste, di luttuosa bellezza, infernali, impietose (ma lucenti) nel tradurre la resa di un uomo sconfitto, che parla e denuncia da un’ora “buia”, rivolgendosi ai carnefici e ai complici.
Nell’oscurità è confinato pure Leto, ferito e catturato e invaso dalle memorie della fanciullezza, mentre è circondato da uomini che sembrano partecipare a un “invisibile esclusivo” e a un evento che non sarà mai ammesso. Con il viso coperto da un cappuccio, cerca figure, “lampi effimeri”. Di fronte, il sequestratore lo incalza con veemenza, dà sfogo al suo desiderio di distinguersi dagli altri, alla delusione nel vedere se stesso e la sua vittima molto simili, uniti in un'”invenzione”, perduti in un nulla che la storia non annota.
Alternando personaggi centrali e coro, Spinato fa il suo ingresso, con cautela, negli ostici territori della situazione nazionale di quella stagione: congiure di Palazzo, scheletri negli armadi, intrighi destinati a divenire materia di romanzo, l’ombra dei Servizi segreti, trame di politica internazionale e una generazione intera di visionari “comprata e rivenduta per un piatto di lenticchie” e la “scivolosa, solida forma dello stereotipo” della solidarietà si riversano in un racconto che si impasta costantemente di ambiguità, di simulazione.
Messe da parte le certezze, l’autore gioca su labili tracce: “il reale, che ci sta davanti agli occhi, appare il più inservibile degli elementi. Solo perché il più incredibile da reggere”. Eppure le scene risultano nitide, tra vero e falso serpeggia sempre un invito, un po’ perplesso, un po’ perentorio, all’approfondimento, alla rivisitazione (“E qui, tra vero e falso, si districhi chi vuole proseguire”). Nel contempo emergono sfondi, in una fuga rapida e crudele come il dramma che si consuma in quell’aria torbida e plumbea. La prosa si pietrifica in andamenti nominali, chiude gli slanci, azzera il canto, ma sottilmente illude con qualche accordo endecasillabico, perforando la barriera del quotidiano per raffigurare anche “lontani punti irraggiungibili e microscopici”. Di “infinitesimali gusci” e di “vortici altissimi” è fatto questo romanzo che apre il libro segreto della storia.

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